Un provino a bordo piscina. Così sono entrato nei Genesis

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Phil Collins; il musicista vive in Florida con la terza moglie, con cui era stato sposato dal 1999 al 2006. Nel 2011 annunciò l’intenzione di ritirarsi dalle scene per problemi di salute, ma due anni dopo disse di averci ripensato

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 Suono il campanello e dopo un’eternità ci apre la porta una signora di mezza età dall’aria distinta. In qualche modo la signora Gabriel capisce che non siamo lì per vendere enciclopedie o entrare nel suo circolo di bridge.
Dobbiamo essere arrivati per fare le prove con il gruppo pop di suo figlio. «Entrate, entrate», dice sorridendo.

«Siete un po’ in anticipo. Fatevi pure una nuotata, se avete voglia».

Io penso: cavolo, gli alberi e anche la piscina. Le cose stanno migliorando. Se solo avessi pensato di portarmi il costume da bagno.

Costume o no, decido di farmi un tuffo. Chissà se mi offriranno mai più di fare un tuffo in una piscina privata riscaldata.

Mi tolgo i jeans con noncuranza e rimango solo con i miei slip ingrigiti, poi mi tuffo. La piscina è fantastica. È un lusso di prima classe.

Scopro che il padre di Peter lavora alla televisione Atv.

O forse ne è il proprietario. Fresco di nuotata, porto la mia batteria Gretsch in giardino e seguendo le indicazioni della signora Gabriel passo dalla terrazza sul retro cercando di non far cadere le ceramiche o le statue.

La prima persona che vedo è un tipo alto dall’aria distinta con le pantofole chiuse e quella che sembra una veste da camera alla Noël Coward.

Ha un’aria giovane, meravigliosamente disinvolta, il tipo che uno vorrebbe essere da grande. Se questo è il padre di Peter Gabriel, quanti anni ha Peter?

Viene fuori che non è suo padre, ma il suo compagno di gruppo.

Mike Rutherford, 19 anni, è il bassista e chitarrista dei Genesis.

Suo padre è ammiraglio. Fuori in terrazza è stato portato un pianoforte a coda e c’è un altro tizio nell’ombra che si accinge a suonarlo.

Si presenta come Tony Banks, il tastierista ventenne dei Genesis. La mia prima impressione? Non ne ho.

Tony è riservato a tal punto da sembrare invisibile, un altro giovanotto educato che non farebbe male a una mosca; a meno che, lo scoprirò presto, quella mosca non suoni l’accordo sbagliato.

E finalmente conosco Peter Gabriel, vent’anni.

Ha l’aria di provenire dallo stesso ambiente degli altri.

Il suo atteggiamento si può riassumere in: esitante, con una mano che afferra il braccio sul gomito, quasi timido, molto a disagio, «non guardatemi e fate come se non ci fossi».

È in una posizione di responsabilità (o meglio, lo sono i suoi genitori, dato che la casa è loro) ma non vuole che si noti.

«Ehm – comincia – forse è meglio se entriamo ad ascoltare il disco in salotto».

Imparo che quei tre sono vecchi compagni di scuola.

Si sono conosciuti alla Charterhouse nel Surrey, una grandiosa ed esclusiva scuola privata della Chiesa anglicana vecchia di 400 anni, con una notevole reputazione (per non parlare del prezzo della retta). Una scuola maschile che apprezza le tradizioni, il retaggio storico, la disciplina, l’eccellenza nello sport e nello studio e altri concetti altrettanto astrusi.

In breve, è un posto ultra-aristocratico, molto diverso dalla Barbara Speake Stage School che ho fatto io.

Peter e Tony si sono conosciuti all’arrivo alla Charterhouse nel 1963, e Mike si è iscritto un anno dopo.

I Genesis si sono formati nel 1967 dall’unione di due gruppi della scuola.Hanno metodi precisi, aspettative precise, e di sicuro modi precisi di relazionarsi l’uno con l’altro.

Ci metterò un po’ per capire quelle dinamiche. Per esempio Tony e Peter sono l’uno per l’altro il migliore degli amici e il peggiore dei nemici.

Tony tende a perdere le staffe, ma è una cosa che emerge solo in seguito, con Peter e Tony che si danno il turno a uscire infuriati dallo studio.

Mike è in un delicato equilibrio tra i due. Ma tutti e tre sono quello che sono: ex studenti di scuole private, con tutto il fardello e i privilegi che derivano da una formazione di quel tipo.

Allevati impeccabilmente come ufficiali e gentiluomini per un’epoca ormai andata; forse meno adatti come carne da cannone per un gruppo rock nato dal tumulto degli Swinging Sixties.

Al momento sono all’oscuro anche di quanto siano stati vicini a sciogliersi, e quindi quanto alta sia la posta in gioco in quelle audizioni.

L’atmosfera a casa Gabriel oggi è fragile e tesa.

E anche di una riservatezza atroce, con i nervi a fior di pelle, non poco rarefatta e terribilmente formale. Per tirare le somme, niente di simile a me o alle mie origini.

Come fa a non andare tutto storto? Ma c’è una cosa che abbiamo in comune, l’unica: siamo tutti bravi musicisti.

In quel momento, però, io e il mio amico Ronnie siamo ignari di quelle dinamiche e quei sottintesi. Siamo seduti, insieme a una manciata di altri disorientati aspiranti, in un salotto gigantesco reso ancora più cavernoso dall’assenza del pianoforte a coda: spostato in terrazza, vicino alla piscina, giace sotto un ombrellone.

Arriva Peter, con in mano l’inedito album Trespass.

Ci fa sentire tre pezzi: Stagnation, Looking for Someone, The Knife.

Non so bene cosa pensare. La batteria non mi sembra un granché: un po’ goffa, non ha molto ritmo.

Ci sono alcune seconde voci che mi ricordano Crosby, Stills & Nash. Ma tutto il disco sembra un… budino: se uno ci infilasse un dito dentro, in qualche modo gli si richiuderebbe attorno.

Ronnie dovrà provare la dodici corde con Mike. Poi, appena Mike ricompare, finalmente arriva il mio turno.

Ci spostiamo in terrazza. Basandomi su quell’unico e rapido ascolto dei pezzi di Trespass cerco di farmi la mano con la musica dei Genesis.

Adesso, mentre Tony comincia con il pianoforte, Mike alla chitarra e Peter alla grancassa (si ritiene un percussionista, il che si rivelerà rischioso) devo entrare con qualsiasi cosa mi sembri adatto nei momenti giusti.

Suoniamo tre o quattro canzoni, compreso l’epico finale di Trespass, The Knife, e alcune parti acustiche.

Sono l’ultimo batterista della giornata e sto cercando di indovinare quanto bene sono andato (o male). Ma invano.

Questi sono tesissimi ragazzi inglesi di una scuola privata, e la riservatezza e la cortesia sono le loro armi preferite. «Ti faremo sapere», dicono con solennità.

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