Cane di Fonni alleato della scienza: nel suo Dna la storia della Sardegna

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Un pezzo di storia della Sardegna si nasconde sotto il folto pelo del cane di Fonni, protagonista di uno studio italo-americano pubblicato su ‘Genetics‘.

Secondo i scienziati dell’università Statale di Milano, degli atenei di Sassari e Chieti, e del National Human Genome Research Institute statunitense, il Dna di questo simpatico quattrozampe di taglia media, originario dell’isola dei Nuraghi, funziona come una ‘mappa’ .

I ricercatori hanno infatti dimostrato che gli antenati del cane fonnense vivevano nelle stesse aree geografiche dalle quali migrarono le prime popolazioni sarde.

Il sequenziamento del genoma del cane di Fonni, e il confronto tra il suo Dna e quello di altre 27 razze canine, ha portato gli autori a individuare per l’animale sardo un’origine filogenetica comune con il levriero persiano (Saluki) e il Kommondor, un guardiano di greggi originario dell’Ungheria.

Queste evidenze – spiegano gli scienziati – concordano con recenti studi di genetica umana sull’origine dei sardi.

“La comprensione dell’origine geografica del cane e dell’uomo può fornire un nuovo strumento di comprensione dell’origine genetica di caratteri complessi e di patologie rare in entrambe le specie”, sottolinea Elaine A. Ostrander, responsabile del lavoro.

I ricercatori – riferiscono dall’università Statale di Milano – hanno anche dimostrato che il cane fonnense condivide caratteristiche genomiche equivalenti a quelle di altre razze riconosciute e apprezzate, e fornisce un’evidenza – una prova ‘in carne, ossa e pelo’ – di come l’isolamento geografico e la selezione antropica per peculiari caratteristiche comportamentali, quali la difesa delle greggi e l’attitudine alla protezione, abbiano contribuito alla formazione di questa originale razza canina.

Gli autori si augurano che questi studi possano contribuire alla valorizzazione e conservazione del patrimonio genetico del cane di Fonni.

Il gruppo di ricerca italiano è formato da Paola Crepaldi, Michele Polli e Stefano Marelli del Dipartimento di medicina veterinaria dell’università degli Studi milanese, da Raffaella Cocco e Sara Sechi della Sezione di clinica medica del Dipartimento di medicina veterinaria dell’università di Sassari, e da Alessandro Di Cerbo dell’università G. D’Annunzio di Chieti.

Il team ha lavorato insieme a un’equipe di colleghi del National Human Genome Research Institute (Nih di Bethesda), costituita da Dayna L. Dreger, Brian W. Davis e Hiedi G. Parker, coordinati da Elaine A. Ostrander.

Fonte: qui

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