Boldrini e i suoi privilegiati: quanto ci costano?

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di Antonio Castro

È più grave declinare al femminile un incarico o un titolo (sindaco/sindaca), o discriminare un lavoratore con un altro solo in base al datore di lavoro?

Ai piani alti di Montecitorio sembrano più sensibili al dito che alla luna.

Battaglie, tante, per tutelare il genere; soluzioni (poche), per le più concrete discriminazioni quotidiane. 

Forse non è argomento che appassiona gli onorevoli e la presidenza della Camera dei deputati, però prima delle battaglie verbali bisognerebbe concentrarsi sul quelle concrete.

E se proprio tanto si tiene alla parità di potrebbero riconoscere gli stessi diritti economici, sindacali e contrattuali a tutti i lavoratori.

 Tralasciando l’ aspetto economico (anche se si potrebbe serenamente aprire un dibattito), sarebbe interessante conoscere il parere della presidente/presidentessa su trattamenti, privilegi e prerogative dei “suoi” mille dipendenti.

Lo sapevate, ad esempio, che i fortunati dipendenti di madame Boldrini hanno diritto ad un periodo di conservazione del posto di lavoro fino a 3 anni in caso di malattia rispetto ai 6 mesi dei dipendenti del settore privato.

Se ad un povero cristo gli piomba addosso un tumore deve anche preoccuparsi di non superare il periodo massimo di assenza e magari è costretto a ripresentarsi in ufficio anche durante i trattamenti di chemio e radioterapia.

E ancora: i dipedennti di Montecitorio possono serenamente assentarsi senza giustificato motivo dal posto di lavoro per 30 giorni.

I comuni mortali del settore privato al massimo per 3/5 giorni. E che dire del “paracadute” anti licenziamento?

Ai fortunati membri di questa casta dorata (con stipendi fino a 240mila euro l’ anno, e prima del tetto Monti andava anche molto meglio), se non in rarissime situazioni gravissime era impossibile recapitare un licenziamento.

E il Jobs Act a Montecitorio non è entrato né ora né mai. 

Mentre i comuni mortali devono tirare la carretta fin oltre i 67 anni, lorsignori ancora oggi possono andare in pensione a 65 anni.

Neppure la signora Elsa Fornero con la sua riforma è riuscita a scardinare l’ autonomia amministrativa e funzionale di Camera e Senato.

A fare le pulci ai privilegi di questo esercito di lavoratori pubblici intoccabili ha pensato l’ avvocato milanese Francesco Rotondi, inviperito per «lo stato di ingiustificata diseguaglianza in cui vige il nostro mondo del lavoro.

Tra le categorie di lavoratori del settore pubblico che godono di ingiustificati e notevoli trattamenti di favore ci sono i dipendenti della Camera dei Deputati, oltre 1.000 lavoratori che godono di diritti e privilegi sconosciuti al dipendente del settore privato». 

Il giuslavorista ha condotto «un’ analisi comparata dei principali istituti giuslavoristici applicabili al rapporto di lavoro dei dipendenti della Camera dei Deputatati», ed emergono «diverse sacche di favore rispetto ai dipendenti del settore privato e gran parte del pubblico che non trovano giustificazioni di sorta».

A cominciare dal trattamento economico: «Che può raggiungere i 240mila euro, mentre il trattamento economico garantito al dipendente privato più qualificato può anche limitarsi a soli 30 mila euro circa».

Rispetto poi agli incrementi retributivi legati agli scatti di anzianità, si registrano evidenti disparità: un “assistente parlamentare” percepisce una retribuzione all’ ingresso di circa 35.000 euro che, dopo poco più di venti anni di lavoro, diventano quasi 100mila».

Cosa è più grave: declinare al femminile/maschile o tollerare tali discriminazioni?

Fonte: qui

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