I veti della vedova Battisti: «Non usate le sue canzoni»

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Squilla il telefono di Gianni Morandi, dopo una sua trasmissione in Rai: è la moglie di Lucio Battisti, Grazia Letizia Veronese. «Ricordo che la signora — racconta Morandi in una testimonianza al tribunale di Milano — mi telefonò chiedendomi di non usare più le immagini del marito, andate in onda mentre veniva eseguita la canzone Pensieri e Parole e di non eseguire canzoni del suo repertorio. Mi chiamò dopo la trasmissione e mi rimproverò, intimandomi di non farlo più».
Il cantautore Pupo, nome d’arte di Enzo Ghinazzi, ha utilizzato la melodia del brano Ancora tu durante un’altra trasmissione Rai. «Mentre aspettavo un aereo mi telefonò la signora Veronese che mi investì contestandomi l’accaduto: diceva che non mi dovevo permettere più di fare cose del genere, che avrei dovuto interrompere la messa in onda del promo. Cercai di spiegare la perfetta legittimità di quanto andato in onda».

La causa con Mogol

Da anni la vedova Battisti si muove sistematicamente per stoppare qualsiasi «mercificazione a scopo di lucro» dell’opera di suo marito e qualsiasi sfruttamento da lei ritenuto svilente. Ma è proprio sulla gestione conservativa del repertorio che Giulio Rapetti, ovvero Mogol, l’autore dei testi delle più belle canzoni, l’ha portata in tribunale insieme alla società Acqua Azzurra (controllata e governata dalla signora Veronese, con il paroliere socio al 9%), ottenendo quest’estate, in attesa dell’appello, 2,6 milioni di risarcimento a carico della società, detentrice dei diritti.

La strada indicata dal cantante

Dalle carte del procedimento spicca la figura di questa donna di 73 anni, riservatissima, compagna di eremitaggio del cantante, morto a 55 anni nel 1998, dopo un ventennio di totale silenzio pubblico.
Lucio, sostiene la moglie, aveva indicato una strada molto stretta per lo sfruttamento delle canzoni. La filosofia è riassunta in un passaggio dove la famiglia (c’è anche un figlio, Luca, 43 anni) si difende, con l’avvocato Simone Veneziano, dall’accusa di aver rinunciato a ricche entrate abbinando canzoni a pubblicità di Fiat, Barilla e Mps. «Lucio Battisti non avrebbe mai consentito che una sua composizione fosse accostata a una casa automobilistica (Fiat), a un’impresa produttrice di pasta alimentare (Barilla) ovvero, peggio ancora, ad una banca (e che banca: Monte dei Paschi di Siena)». La volontà di Lucio, insomma, non può essere «calpestata per vili motivi di lucro».

Le telefonate

Barilla, Fiat e Mps ricevettero, puntuale, una telefonata. «Ho iniziato a contattare Barilla — dice Veronese in un interrogatorio — partendo dalle indicazioni sulle confezioni dei prodotti e poi mi passarono da un ufficio all’altro». Alla fine «mi riferirono che non ne sapevano niente». In realtà le pratiche, portate avanti dalle agenzie di pubblicità, si erano arenate di fronte all’implicito rifiuto di Acqua Azzurra.
Nel 2011 il Comune di Roma organizza uno spettacolo per i 50 anni di carriera di Mogol. Trilla il telefonino dell’allora assessore Dino Gasperini. «La signora Veronese — testimonia lui — disse che avrebbe impedito lo svolgimento della manifestazione… Mi è rimasto impresso che mi disse di aver impedito al sindaco del comune in cui è sepolto Battisti (Molteno in provincia di Lecco, prima della cremazione, ndr) di affiggere manifesti che lo ricordassero».

I festival e il francobollo

Festival di Sanremo o di Castrocaro: utilizzare brani di Battisti voleva dire esporsi alle sfuriate della vestale dell’opera. Il direttore artistico di un’edizione di Castrocaro è Gianni Bella. La figlia Chiara pesca nella memoria quella volta che «ricevetti una telefonata della vedova Battisti — così si presentò — che in tono perentorio disse che voleva parlare subito con Gianni Bella… glielo passai… sentivo la voce della signora che ad alto volume e con tono arrabbiato chiedeva perché mai fosse utilizzata come sigla del Festival la canzone Un’avventura; mio padre rispose che doveva rivolgersi alla Rai e la Veronese interruppe bruscamente la telefonata».
E le Poste che volevano dedicare un francobollo a Battisti? L’incaricato «mi chiese — mette a verbale la signora — se potevo mandargli una foto. Chiesi se era obbligatorio e lui mi rispose di no perché era un omaggio. Dissi che ci avrei pensato. Qualche giorno dopo richiamai: avevano inserito Bocelli».
Dev’essere stato lo scarso entusiasmo dimostrato. Ma forse la leggenda di Battisti si alimenta anche così, sfruttandolo il meno possibile.

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